venerdì 27 gennaio 2012

Caffé

Oggi sono in ferie, quindi ho pranzato a casa con Razza-O (Cetti-girl arriva verso le 15); sebbene non sia per noi un'abitudine, abbiamo concluso con un buon caffé.

Ma si fa presto a dire caffé...
Il caffè è, dopo il petrolio, il secondo prodotto sul mercato mondiale delle esportazioni, il volume del suo mercato è di circa 10 miliardi di dollari.
Nella sua coltivazione, lavorazione e vendita sono occupati circa 25 milioni di persone nel sud del mondo. Queste basano la loro sopravvivenza su questa attività, dipendendo quotidianamente dall’andamento del prezzo determinato dalla Borsa di New York.


I lettori affezionati sanno che Razza-O fa la volontaria in una bottega del commercio equo, dove si possono trovare varietà sia dalle Americhe che dall'Africa, che permettono il sostentamento dell'attività di piccoli produttori locali, pagando il giusto prezzo per il loro lavoro, contrariamente alle multinazionali che impongono un prezzo di mercato che li riduce in uno stato di semi-schiavitù.

Tuttavia il nostro GAS acquista café rebelde zapatista prodotto dai contadini sulle montagne del Chiapas, una regione messicana che i latifondisti e le multinazionali, con l’appoggio del governo, vogliono sfruttare imponendo prezzi ingiusti. Una terra insorta dove l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale si batte per la dignità. Una terra dove molti piccoli produttori si sono uniti per difendersi ed organizzati in cooperative per raccogliere il Cafè Rebelde Zapatista e distribuirlo a un prezzo giusto a gruppi solidali.

Tutto ciò premesso, né io né Razza-O beviamo il caffé, quello vero: ne basterebbe una tazzina a mezzogiorno per tenerci svegli tutta la notte successiva; in più, a me causa anche problemi di stomaco. Ci eravamo quindi orientati al caffé d'orzo, ie poche volte che lo bevevamo. Ma da un anno abbiamo fatto una scoperta sorprendente: il caffé di cicoria. Non sto a dirvi le mille benefiche proprietà della cicoria, né vi voglio ripetere la solita solfa che fa pochi chilometri; il fatto è che, amaro com'è, ci piace proprio, e adesso  lo beviamo qualche volta in più.


Nota: le parti in corsivo sono tratte dal sito di Ya Basta.

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