sabato 21 gennaio 2012

Carne

Oggi dopo pranzo abbiamo ritirato il formaggio da Jenny, e ieri prima di cena invece la carne da Joe; entrambe le consegne si sono trasformate in occasione per una chiacchierata, accompagnata da un caffè o un bicchiere di rosso: la socializzazione è uno dei graditi effetti collaterali del GAS.

Sì, abbiamo nel paniere anche la carne: in famiglia non ne facciamo gran consumo, ma qualche volta la mangiamo pure noi.
Come sempre, il GAS sceglie il produttore in base a criteri ben precisi: l'azienda, di piccole dimensioni e a una ventina di km da noi, alleva vitelli nati nella propria stalla, li alimenta con fieno e cereali biologici, senza somministrare antibiotici o farmaci di sintesi chimica.

Tutte caratteristiche solitamente assenti negli allevamenti intensivi (quelli che in genere forniscono i supermercati), i quali hanno anche un elevato impatto ambientale e sociale:
  • le feci provenienti da grandi quantità di animali concentrati in aree relativamente piccole causano inquinamento delle falde acquifere;
  • molti paesi emergenti, per entrare nel ricco business della carne, disboscano ampie fette di territorio per far posto ai pascoli (emblematico è il caso della foresta amazzonica in Brasile);
  • è stato calcolato che gli allevamenti intensivi producono il 18% di anidride carbonica, metano e ossido di azoto (mentre, ad esempio, l’attività di trasporto via terra, acqua e mare ne causa solo il 14%);
  • per sostenere la crescente espansione del settore, si è attuata in agricoltura un radicale passaggio dalla coltivazione di cereali prevalentemente destinati all’alimentazione umana a quella di cereali per l’alimentazione animale (nei paesi del Terzo mondo milioni di ettari di terra sono utilizzati esclusivamente per produrre mangime destinato al bestiame europeo);
  • un ettaro coltivato a cereali produce cinque volte più proteine di un ettaro destinato alla produzione di carne, coltivato a legumi dieci volte di più, a spinaci ventisei volte di più.

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