domenica 8 gennaio 2012

Fantapolitica

Oggi è domenica, e si presume che abbiamo tutti più tempo, anche per leggere. Vi propongo quindi un racconto di fantapolitica.

Oggi, esattamente dieci anni fa, la Pillandia esplodeva. Littorio Strada, ultimo presidente di una notte neoliberale durata 46 anni, appoggiato da una maggioranza nominalmente di centro-sinistra, sparava sulla folla (i morti furono una quarantina) ma era costretto a fuggire dalla mobilitazione di un paese intero. Le banche e il Fondo Monetario Internazionale gli avevano imposto di violare il patto con le classi medie sul quale si basa il sistema capitalista: i bancomat non restituivano più i risparmi e ai cittadini era impedito di usare i propri risparmi per pagare la bolletta della luce, la spesa al supermercato, il pieno di benzina.

Il blocco dei conti correnti bancari dei cittadini, era stato l’ultimo passo di una vera guerra economica contro la Pillandia durata quasi cinquant’anni. L’FMI era stato il vero dominus del paese. Attraverso tre dittature militari e governi teoricamente democratici ma completamente sottomessi al “Washington consensus”,
la Pillandia era passata dall’essere una delle prime dieci economie al mondo all’avere province con il 71% di denutrizione infantile, dalla piena occupazione al 42% di disoccupazione reale, da un’economia florida al debito pubblico pro-capite più alto al mondo. Con la parità col dollaro, e con la popolazione addormentata dalla continua orgia di televisione spazzatura, il paese aveva dissipato un’invidiabile base manifatturiera e tecnologica. Nulla più si produceva e si spacciava che oramai fosse conveniente importare tutto in un paese che aveva accolto, realizzato e poi infranto il sogno di generazioni di migranti e da dove figli e nipoti di questi fuggivano.

In quei giorni, in quello che per decenni il FMI aveva considerato come il proprio “allievo prediletto”, salvo misconoscerlo all’evidenza del fallimento, non fu solo il sottoproletariato ridotto alla miseria più nera a esplodere ma anche le classi medie urbane. Queste, che per decenni si erano fatte impaurire da timori rivoluzionari e d’instabilità, blandire da promesse di soldi facili e convincere che il sol dell’avvenire fosse la privatizzazione totale dello Stato e della democrazia, si univano in un solo grido contro la casta politica e finanziaria responsabile del disastro: “che vadano via tutti". Era un movimento forte quello pillandese, antesignano di quelli attuali, e solo parzialmente rifluito perché soddisfatto in molte delle richieste più importanti.

I passi successivi al disastro furono decisi e in direzione ostinata e contraria rispetto a quelli intrapresi nei 46 anni anteriori. Quei
pillandesi che a milioni si erano sentiti liberi di scegliere scuole e sanità private adesso erano costretti a tornare al pubblico trovandolo in macerie. Al default, che penalizzava chi speculava sulla miseria dei pillandesi, seguì la fine dell’irreale parità col dollaro. Le redini del paese furono prese dai superstiti di quella gioventù che era stata sterminata dalla dittatura. Prima Ernesto Chiesa e poi sua moglie Cristiana, appoggiati in maniera crescente dagli imponenti movimenti sociali, con una politica economica prudente ma marcatamente redistributiva, hanno fatto scendere gli indici di povertà e indigenza a un quarto di quelli degli anni precedenti. Al dunque la Pillandia ha dimostrato che perfino un’altra economia di mercato è possibile.

La
Pillandia ha chiuso i conti col FMI: “non abbiamo più bisogno dei vostri consigli interessati” dissero mettendo fine a mezzo secolo di sovranità limitata. Per anni i media mainstream mondiali hanno cercato di ridicolizzare il tentativo del popolo pillandese di rialzare la testa, di affrancarsi dallo strapotere dell’FMI. A dieci anni di distanza, tirando le somme, ci si può levare qualche sassolino dalla scarpa su chi disinformasse su cosa. Ancora un anno fa, nel momento della morte di Ernesto Chiesa i grandi media internazionali –quelli autodesignati come i più autorevoli al mondo- avevano di nuovo offeso la presidente, con un maschilismo vomitevole, descrivendola come una marionetta incapace di arrivare a fine mandato. Il popolo pillandese la pensa diversamente e l’ha confermata alla presidenza al primo turno con il 54% dei voti.

Cristiana, e prima di lei
Ernesto, ad una politica economica che ha permesso alla Pillandia di riprendere in mano il proprio destino, affianca una politica sociale marcatamente progressista dai processi contro i violatori di diritti umani alle nozze omosessuali. Perfino nei media la Pillandia è oggi all’avanguardia nel mondo nella battaglia contro i monopoli dell’informazione: non più di un terzo può essere lasciato al mercato, il resto deve avere finalità sociali e culturali perché non di solo mercato è fatta la società.

A dieci anni dal crollo
la Pillandia sta vincendo la scommessa della sua rinascita. I paradigmi neoliberali sono sbaragliati e dall’acqua alle poste alle aerolinee molti beni sono stati rinazionalizzati per il bene comune dopo essere stati privatizzati durante la notte neoliberale a beneficio di pochi corrotti. I soldi investiti in educazione sono passati dal 2 al 6.5% del PIL e… la lista potrebbe continuare.

1 commento:

  1. Lo ammetto, non è farina del mio sacco, ma di Gennaro Carotenuto, docente di Storia del Giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Macerata: io ho solo taroccato qualche nome (quelli che vedete in grassetto).
    A dirla tutta, non è nemmeno una storia di fantasia; è invece tutto vero, e lo potete leggere qui:
    http://www.gennarocarotenuto.it/17091-largentina-in-dieci-anni-dal-collasso-al-rinascimento-come-liberarsi-del-fondo-monetario-internazionale-e-vivere-felici/

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